Nel mese di giugno 2016 Giangiorgio Pasqualotto avrebbe compiuto 70 anni. Al che, alcuni suoi ex-allievi o ex-colleghi dell’Università di Padova o suoi amici (mi trovavo in ambo delle ultime due tipologie) pensarono di dedicargli un libro. Generalmente non partecipo mai a questo tipo di iniziative, che tendo a trovare accademiche oltre che maledettamente noiose. Ma, siccome Giangiorgio, che peraltro era all’oscuro dell’omaggio, mi è particolarmente simpatico, decisi di fare un’eccezione. O, meglio, lo decisi solo dopo aver domandato ai due curatori (Emanuela Magno e Marcello Ghilardi) carta bianca. Perché di scrivere un normale saggio proprio non se ne parlava: accarezzavo piuttosto l’idea di scrivere una lettera. Una lettera filosofica, ma insieme amicale.
Mi fu gentilmente accordata la più totale libertà. Composi, allora, circa una decina di pagine e le consegnai assai per tempo, non lo fecero tutti, sicché il volume celebrativo, Festschrift come si dice in gergo, non fu pronto per il compleanno di Giangiorgio ma solo molto dopo.
Vi assicuro che ne è venuto fuori un libro collettivo interessante, diviso in due sezioni (Dall’Occidente e Dall’Oriente), dato che non tutti quelli che vi partecipavano condividevano le competenze da orientalisti di Giangiorgio, dei curatori e di altri. Eccone il titolo:
La filosofia e l’altrove. Festschrift per Giangiorgio Pasqualotto, a cura di Emanuela Magno e Marcello Ghilardi, Mimesis, 2016.
Il mio “contributo” (Imbattersi in Stirner) aveva come oggetto un autore che per le sue tesi estreme è singolarmente istruttivo nei tempi bui che stiamo attraversando: Max Stirner. Qualora sappiate pochissimo o nada de nada di costui, come sempre, niente paura! Ve lo farò scoprire e gustare con leggerezza: cliccate qui.
Ora, sempre a Stirner dedicai una parte delle lezioni sul tema della solitudine, che tenni presso l’Università di Trieste (cfr. News aprile 2016 nonché Beata solitudo, 3). Ebbene, fu mia cura scrivere in modo da non ripetermi più dello stretto necessario, approntando due testi complementari. Perché ho sempre detestato quel diffuso malcostume accademico che ricicla e rimastica senza posa materiale già prodotto, al solo scopo di snocciolare l’ennesima pubblicazione: che miseria!