Dopo il successo dello scritto dedicato a mio padre, ho deciso di pubblicare in questo sito la gustosa storia delle mie radici tosco-emiliane, storia che ne costituisce una sorta di antefatto
Per finire con più leggerezza, un raccontino con venature comiche ambientato a Rodi:La vendetta dell’Arcangelo. Il titolo vi sconcerta? Una ragione in più per leggerlo!
Tracciare un ritratto del proprio padre è forse l’impresa più difficile che esista per chi si cimenti con la scrittura.
Intimismo e retorica sono in perenne agguato e vanno evitate come la peste.
Ebbene, accetto questa sfida pur di far conoscere un uomo fuori da ogni schema, assolutamente immune dall’autoritarismo dei padri di un tempo e soprattutto dotato di uno humour originalissimo e irresistibile.
Insomma, se siete curiosi di leggere questo scritto dissacrante e “leggero”, cliccate su: Edipo triumphans
Da sempre accarezzavo il progetto di scrivere una breve novella, impresa che giudico ben più ardua che partorire un racconto lungo oppure un romanzo.
Impresa ardua, perché non si tratta di orchestrare una storia doviziosamente articolata, bensì di far appena intravedere un mondo, e insieme una vicenda, in qualche modo esemplare, con una sobrietà di mezzi estrema.
Ovviamente, gli spunti autobiografici, come sempre, esistono ma son tutti rigiocati e liberamente ricreati.
Non mi stancherò mai di ripeterlo.
L’ambientazione del raccontino è suggerita – mutatis mutandis – dall’incantevole isola di Brijuni o, meglio, dalla più grande delle isole dell’omonimo arcipelago istriano.
Ah, le isole!
Ricettacolo ideale per vagheggiare un mondo altro…
Insomma, se volete avventurarvi anche voi in questo sfuggente regno dell’immaginario, cliccate su Uomini-base…
Dovrei proprio smetterla di scrivere di filosofia, almeno considerando quello che è successo ultimamente.
Perché, poco da fare, non ha mica portato tanto bene.
Cominciai Confessionefilosofica, dove svisceravo i non facili rapporti che chi fa filosofia intrattiene col proprio corpo e, sul più bello, scoppiò una tremenda pandemia di Covid.
In seguito, per far fronte a diuturni lock-down, mi trincerai dietro e dentro al filosofo più incomprensibile di tutti e nacque Un anno con Eraclito. E quella, almeno, fu un’operazione salvifica, se non altro, perché un pensatore così disincantato e dissacrante insegna a sopravvivere meglio in un mondo ammorbato da troppi ridicoli so-tutto-io, soggetti che, peraltro, ignorano in toto che esista il lógos.
Già analizzando Eraclito, mi ero preoccupata di criticare la presunta centralità di pólemos (la guerra) nel suo pensiero, ed è in questo spirito che avevo poi deciso di riprendere in mano l’Iliade.
Pensavo, insomma, di scrivere qualcosa di alternativo rispetto alla rievocazione di quelle arcaiche battaglie: qualcosa che mostrasse come la guerra di Troia lasci anche spazio a stimolanti scene di pace. Volevo, in particolare, attrarre l’attenzione su certe pieghe del poema in cui emergono le caratteristiche peculiari del “canto”, ovvero della poesia epica.
E, inaspettatamente, ci trovammo tutti sull’orlo del terzo conflitto mondiale! Inoltre, di fronte alla palese prepotenza di chi vuol imporre la legge del più forte, persino il mio pacifismo, che credevo inscalfibile, cominciò a scricchiolare.
Tuttavia, i poemi omerici ci offrono, proprio in questi tempi particolarmente invivibili, uno splendido rifugio. Là possiamo, tra l’altro, trovare illuminanti riflessioni, le più antiche di cui disponiamo in Occidente, sul come fare poesia e soprattutto sui raffinati rapporti tra quello che diverrà l’autore e il suo “pubblico”.
E, proprio adesso, che siamo sommersi in continuazione da news false, o che vengono fatte passare per false anche quando non lo sono affatto, vi assicuro ci fa bene respirare un’aria più salubre, dove l’illusione non è certo la gemella della stupidità – quella di chi si crede l’unico depositario della verità – bensì l’effetto di una raffinata e dichiarata strategia “poetica” che ci trasporta oltre il presente.
Per non farci ossessionare da questa pandemia che ancora incombe, l’unica, almeno per me, era immergermi in un mondo completamente altro.
Il mondo greco antico.
Cominciai, allora, un anno esatto fa, a riprendere in mano il filosofo più impenetrabile dell’Antichità: colui che vien denominato l’Oscuro. Sto parlando di Eraclito di Efeso, vissuto tra il VI e il V secolo a. C.
E si rivelò un’impresa così appassionante che mi venne la voglia di raccontare ai miei pochi lettori quello che di Eraclito andavo via via non dico capendo, ma quantomeno quello che mi pareva di capire. Comprese le mie cantonate, i non pochi momenti di smarrimento.
Tuttavia, se non s’abbandona la partita, enorme è poi la gioia di entrare in contatto con un autore così remoto, ma che pure sa ancora parlarci.
Eh, sì perché, proprio in questi tempi bui, Eraclito, che in un primo momento sembra respingerci, invece, ci sostiene.
Eraclito ci sostiene perché infinito è il suo disincanto nei confronti degli uomini tutti, siano essi ignoranti o dotti: comunque insipienti, compresi i pretesi sapienti.
Eraclito ci sostiene perché non ci fornisce facili illusioni, ma pure ci sprona a non scoraggiarci mai, a continuare a pensare, a non accontentarci di quello che ci vien proposto, e nemmeno di quello che ci vien tramandato.
Ora, se un po’ mi conoscete, sapete che non dò per scontata in chi mi legge nessuna conoscenza né filosofica, né tanto meno della lingua greca. Perciò, anche questa volta, fidatevi! Vi accompagnerò passo passo.
Il testo che sto per proporvi s’intitola, appunto: Un anno con Eraclito.
Insomma, se volete far conoscenza con questo possente pensatore, ma anche con un personaggio, fuori da ogni schema, cliccate qui. Se invece volete scaricare direttamente l’intero scritto in PDF, cliccate qui.
Ma, prima di farlo, vi consiglio di avvicinarvi ad Eraclito attraverso la voce di Ruben Garbellini: un mio amico artista che unisce in sé la sua sapienza di pittore (cercatelo su Google) ad una grande capacità di attore; memorabili sono le sue letture dantesche. Qui avete, infatti, un suo file vocale con una scelta di quindici brevi frammenti, da me tradotti. Vi parrà di sentire l’appello di Eraclito giungervi intatto attraversando i millenni.
Niente da fare! L’anno più duro che mai abbiamo vissuto volge ormai al termine ma non riusciamo proprio a scollarci di dosso questo vischioso e mortifero virus.
E chissà per quanto tempo ancora…
Immagino che per i sedentari sia tutto più facile, ma per gli errabondi, come me, beh, è maledettamente dura.
Ognuno ha le sue droghe: per me, una delle più potenti, oltre alla filosofia, è immergermi nei poemi omerici o, meglio, nell’Odissea.
E giusto di droghe omeriche, compreso il canto delle Sirene, mi è venuta voglia di parlarvi.
Insomma, se siete stanchi della stanzialità e vi stuzzica rivisitare velocemente i viaggi di Ulisse, e inoltre mi date fiducia come guida, cliccate qui
Nei primissimi giorni di questo anno ero ancora felicemente ignara della pandemia che stava per abbattersi sul pianeta.
E in tale beata inconsapevolezza cominciai a mettere per iscritto un personalissimo, annoso, problema: il dissidio insanabile col mio corpo.
Contemporaneamente, volevo trarre le somme di un’intera vita trascorsa in intimità con la filosofia e illuminata dal mio incoercibile amore per gli Antichi.
E mi proponevo di farlo senza falsi pudori.
Cominciai con un tono leggero alludendo – me ne rendo solo ora conto – a cose che oggi sembrano risucchiate in un passato remoto: le appassionanti discussioni filosofiche con un bicchiere in mano, in qualche piccolo locale, i frequenti viaggi all’estero, le molte lunghissime camminate, i reiterati soggiorni nelle montagne da me più amate – gli Appennini. Dando per scontata, insomma, una vita beatamente errabonda, fuori da ogni costrizione.
Tutto l’esatto contrario dell’umbratile esistenza di reclusione coatta in cui mi trovai a vivere, e ancora sto vivendo, assieme a milioni e milioni di abitanti della terra, nel tentativo, forse vano, di arginare il contagio.
In particolare, il Corona Virus, si manifestò con repentina e spaventosa violenza mentre mi apprestavo a concludere, rischiando di farmi buttare tutto nel cestino.
Ma poi decisi di non farlo.
Perciò vi chiedo scusa se questo piccolo scritto non ha un tono omogeneo: ho preferito lasciarlo nella sua stesura originaria perché restasse come testimonianza; nella prima parte, di un mondo forse perduto per sempre e, nell’ultima, dell’irrompere dell’incalcolabile, del non-controllabile per eccellenza.
Ancora una volta, ricorrendo alle risorse per resistere che ci vengono dalla filosofia.
Perciò, se davanti a questo mostruoso e tentacolare morbo, non volete chinare la testa, cliccate qui.
Nello scorso mese di marzo tenni presso l’Università di Trieste tre lezioni dedicate al tema della menzogna passando per autori di epoche differenti: ad esempio, dai poemi omerici a Platone, da Sant’Agostino a Rousseau, da Machiavelli a Montaigne, da Nietzsche a Oscar Wilde.
(Tra parentesi, in parte, dedicato al tema della bugia potete vedere, sempre in questo sito, il saggetto: Perché parlar male dei Cretesi?
Durante quelle intense lezioni marzoline parlai, anche se assai brevemente, del mio sofista preferito: Gorgia da Leontini.
Mi venne, allora, l’idea di riproporre una mia traduzione dell’Encomio di Elena, che giudico l’opera più significativa del grande siculo.
Avendo qualche scrupolo a lasciare il lettore sguarnito d’ogni appoggio nell’affrontare questo straordinario e originalissimo scritto, vi ho abbinato una piccola e agevole introduzione: Viatico per l’Encomio di Elena.
Leggetela e leggete poi l’Encomio: vi scoprirete un filosofo, ma anche uno scrittore, straordinario e ingiustamente sottovalutato.
Nel maggio scorso, nonostante fossi in attesa d’una complicata operazione agli occhi, e nonostante fossi parecchio fiaccata da vari farmaci invalidanti, decisi di partire egualmente per Creta.
Avevo sognato da tanto tempo di visitare l’isola che diede i natali a Zeus e non potevo più aspettare.
Tra l’altro, desideravo ardentemente completare il ciclo dedicato all’Odissea, iniziato due anni fa con i viaggi ad Itaca e nel Peloponneso.
Solo che, questa volta, pur continuando a spostarmi col mio zainetto in spalla e prevalentemente in bus, mi dovetti accontentare di un viaggio meno on the road.
Fui costretta, insomma, a prenotare in anticipo i piccoli hotel dove sostare, non solo a causa della mia grande spossatezza, ma anche perché Creta è, oramai in ogni stagione, assediata dai turisti.
Perciò niente, réportages inframezzati da immagini, delle mie avventure ma qualcosa d’altro.
Non ho voluto, però, eliminare del tutto le foto, scattate col mio modesto cellulare, foto che potete trovare in un album articolato nelle tappe più salienti: Creta.
E vi assicuro che anche chi è completamente a digiuno di cultura minoica può benissimo giulebbarselo.
Tutto scaturisce da alcune intuizioni e illuminazioni, che mi folgorarono visitando Creta e soprattutto Cnosso, come sempre, filtrate attraverso la mia inguaribile “odisseomania”.
È giunto il momento che vi faccia vedere il réportage di un coinvolgente viaggio che feci sul finire della scorsa primavera.
Ebbene, dopo aver fortunosamente raggiunto Itaca, urgeva che io visitassi anche il Peloponneso. Ossia una terra anch’essa omerica, ma pure ricca di molte altre tracce del passato, mitico e storico, della mia amata Grecia.
Anche questa volta, viaggiai – col mio fido zainetto in spalla – solo in bus e talora a piedi.
Se vi viene la curiosità di sapere come me la cavai e quante meraviglie trovai, giorno dopo giorno, allora cliccate quiquiqui e qui.